Così scriveva Vasco parlando degli alti e dei bassi della vita e della capacità di resistere ai momenti difficili.
Be’, l’inizio di questo viaggio non è stato dei più semplici, soprattutto non uno dei più caldi e asciutti.
TESTO DI JACOPO CHIANALE
FOTOGRAFIE DI GIOVANNI DANIELI
Ma partiamo dall’inizio: un po’ all’ultimo mi viene chiesto di pedalare a un nuovo evento gravel, partenza e arrivo a Modena, nome PanSec.
Gravel in Emilia-Romagna?
Da amante del dislivello penso sarà tutta pianura, vado a controllare sul sito dell’evento:
400 chilometri e 7.000 metri di dislivello tra il Panaro e il Secchia: mi devo ricredere, ammetto che la curiosità aumenta.
O degli alti e dei bassi della vita e della capacità di resistere ai momenti difficili.
Salgo in treno il giorno prima della partenza, tra un ritardo e l’altro arrivo a Modena, sotto uno scroscio di pioggia continuo che nei giorni a seguire avrebbe portato a un’allerta arancione su tutta l’area dell’Emilia-Romagna.
Perdendomi tra gli infiniti portici di Modena, a cavallo della mia compagna di avventura a due ruote, arrivo dal mio contatto, Ennio, nel suo design-shop Bensone.
Al telefono Ennio mi aveva colpito per la voce giovanile (con uno spiccato accento emiliano) e l’entusiasmo per l’evento, e Bensone, la sua creatura, rispecchia un po’ il suo carattere: si entra in un mondo di creatività, tra street art, biciclette e i dolci del Caffè che ha trovato spazio nei bellissimi locali del vicolo.
Creatività, sicuramente ce n’è voluta tanta per ideare il percorso, almeno tanta quanto il lavoro di tracciatura e verifica delle decine e decine di chilometri sui quali nei mesi precedenti hanno lavorato Ennio e gli altri organizzatori.
Un gruppo che ho imparato a conoscere la sera prima della partenza durante un carbo-load a colpi di crescentine e tigelle, tra racconti di pedalate e vecchie gare che mi hanno fatto pensare a come siano nati e si siano evoluti alcuni eventi ciclistici, spesso distanziandosi dall’aspetto agonistico e virando verso quello ludico ed esplorativo della bicicletta.
Insomma, pedalare, mangiare e bere senza la pressione del cronometro.
Stomaco pieno, testa leggera (grazie al vino), tutto pronto per l’indomani e via a nanna.
Torniamo al racconto del viaggio: giovedì mattina, ore sei e mezza.
Il primo rumore che sento dopo la maledetta sveglia è il continuo scroscio dell’acqua fuori dalla finestra, non un buon segno.
Ci dirigiamo verso la partenza, ma neppure il tempo di arrivarci che siamo già completamente fradici, decidiamo così di rimandare di un giorno la partenza e la mia testa si perde pensando ai 7.000 metri di dislivello compressi in tre giorni, con una gravel carica di borse.
Sarà interessante, penso tra me e me.
Sulla linea di partenza vengo assalito da una sensazione di inadeguatezza, davanti a me si palesano uno dopo l’altro una schiera di ciclisti imbacuccati e impermeabilizzati dalla testa ai piedi che non si sono tirati indietro, loro partiranno lo stesso!
Ammetto di aver pensato di non essere propriamente un ciclista duro e puro, ma oramai la decisione è presa, noi partiremo domani.
L’indomani arriva: stessa sveglia, stesso rumore fuori dalla finestra.
Partiamo lo stesso, direzione Appennini Modenesi.
Pedalando mi rendo conto di aver letto tante pagine in cui si racconta di viaggi, con descrizioni minuziose dei paesaggi e del percorso che spesso sono riuscite a farmi viaggiare con la testa, ma, forse per via del meteo e della bolla che creano le nuvole nelle quali eravamo avvolti, mi rendo conto di voler fare qualcosa di diverso.
Provare a raccontare il viaggio non tramite un’accurata descrizione del percorso, ma anche attraverso le sensazioni ed emozioni che sono scaturite da questi giorni.
Incredibile come in gruppo il tempo scorra diversamente, lo dico da ciclista che pedala spesso e volentieri da solo, ma risalire il Panaro è stato veloce, mi sono perso tra la bellezza di una ciclabile che lambisce i suoi argini e le infinite chiacchiere.
Si iniziano a intravvedere tra le nuvole gli Appennini, il rumore del fiume lascia spazio a quello della pioggia che cade sugli alberi accanto alla strada, il ticchettio dei cambi che scalano marce preannuncia un aumento di pendenza, quel sibilo proveniente dal copertone che... no, aspetta quello sono io che ho forato! Vi risparmio le altre sensazioni dei seguenti minuti.
Insomma, si inizia a salire, la velocità cala e anche le chiacchiere diminuiscono.
Ci si addentra curva dopo curva nelle valli, prima asfalto poi sterrato. All’improvviso rimango folgorato dallo stagliarsi di alcune formazioni rocciose che dal nulla sbucano fuori dai boschi, siamo giunti nei pressi di Rocca Malatina dove troviamo anche il primo punto di passaggio obbligatorio, apponiamo il timbro e via.
Si scende per poi risalire innumerevoli volte, dopotutto siamo ancora in una zona che definirei collinare più che montana. A un tratto, tra i local del gruppo si percepisce un po’ di fervore, due curve dopo un cartello che segna l’inizio del paese, siamo a Zocca, paese natale di Vasco Rossi.
Il momento, sotto una timida pioggia, è surreale: murales, cartelloni e scritte varie inneggiano a Vasco, ma di quel rock di cui scriveva non c’è ombra. Forse il suo rock e la sua energia ribelle nascono proprio dalla quiete della montagna, come un grido di libertà che si perde tra le valli, trovando equilibrio tra caos e natura.
Un po’ come quell’energia che scorre dentro noi ciclisti, forse alla ricerca di una qualche libertà che solo pedalando vediamo come raggiungibile.
Noi continuiamo a pedalare, che si stia ricercando o meno questa libertà, e la pioggia al contrario della luce si fa sempre più forte, fino a inzupparci completamente.
Per fortuna siamo arrivati a Fanano, meta di oggi. Doccia calda e si va alla ricerca di calorie.
Il secondo giorno è uno di quei tapponi che non ti aspetteresti sugli Appennini, in programma ci sono 100 chilometri abbondanti e 3.000 metri di dislivello.
Per quelli con la mia stessa malattia è un invito a nozze.
Partiamo direttamente in salita, strappo al 12% per digerire bene la colazione e 1.200 metri di dislivello fino al Cimone.
Anche oggi immersi nella nebbia, la pioggia fine fine la senti sul volto e la vedi formare gocce sempre più grandi sul manubrio, sulla giacca e sugli occhiali, bagna anche così.
Tornante dopo tornante prendiamo quota, il sole per qualche minuto riesce addirittura a infilarsi tra una nuvola e l’altra e ci regala un tripudio di colori di inizio autunno; arriviamo fino alla partenza delle seggiovie, perché sì, qua sul Cimone a 1.500 metri si scia, o perlomeno si prova a continuare ad aprire gli impianti in anni sempre più difficili per l’innevamento.
Proseguiamo verso il Cimone e, poco sotto la vetta, ognuno col proprio passo arriva al cambio d’assetto, vestiamo le giacche e ci si prepara per la discesa, inforchiamo una traccia che passa per i prati, visibilità dieci metri, si fa presto a perdere chi si ha davanti.
Temperatura? Avrei dovuto portare i guanti più spessi!
Dopo poco la traccia diventa un bel sentiero che invoglia ad alzare il ritmo, a cercare il limite della gravel, e in poco tempo il freddo non è più un problema.
Proseguiamo fino ad arrivare al coloratissimo borgo di Fiumalbo, dal quale, indovinate... saliamo ancora! Direzione Passo delle Radici, attraverso una strada che si inerpica tra i boschi e che varrebbe da sola il giro ci si immerge nel silenzio, avvolti nelle faggete e nelle nuvole, che imperterrite continuano a inumidirci.
Arrivati al passo lasciamo l’asfalto per addentrarci ancora di più nel bosco, tra fango e discese su pietraie facciamo danzare le nostre biciclette, per poi buttarci nuovamente giù in discesa. Una lunga discesa che, intervallata da qualche risalita, ci porterà a incrociare per la prima volta il fiume Secchia.
Sento che il cerchio inizia a chiudersi, che con 5.000 metri di dislivello alle spalle il viaggio sta prendendo forma, proprio come i ragazzi se l’erano immaginato.
Superato il fiume il meteo sembra passare dalla nostra parte, piano piano il cielo inizia a far filtrare un po’ di luce, come per rincuorarci che quella sarebbe stata l’ultima salita della giornata, l’ultima salita che ci avrebbe portato verso Castelnovo ne’ Monti, proprio sotto la Pietra di Bismantova che timidamente si spoglia delle nubi che la circondavano, sotto gli ultimi raggi di sole.
Un ben arrivati insomma, un regalo dopo l’ennesima giornata di nuvole e pioggia.
La cena e la nottata passano veloci e ci ritroviamo nuovamente a chiudere le cerniere delle giacche e le borse, oggi però la pioggia dovrebbe risparmiarci.
Iniziamo un saliscendi tra mille curve, che hanno quella incredibile capacità di creare una bolla in cui senza pensare a niente, senza pensare sempre (oramai sono in fissa con Vasco) fanno scorrere veloci i chilometri sotto le ruote.
In un attimo ci ritroviamo immersi in un pezzetto della storia italiana, siamo a Montefiorino, una delle prime autoproclamate Repubbliche Partigiane, dal quale come durante la Guerra possiamo controllare tutto il fondovalle, un continuo susseguirsi di profili montuosi che nascondono là dietro, da qualche parte, Modena.
Ripartiamo. Discesa e poi di nuovo salita, poi nuovamente giù in picchiata, ma questa volta verso il fondovalle del Secchia, pedalando su una lunghissima ciclabile, anche questa volta lungo gli argini, che ci porta verso l’arrivo.
È come una lunghissima passerella, nella quale ci perdiamo tra le chiacchiere, con quella leggerezza di chi sa che oramai le fatiche sono quasi terminate, pieni di quei sentimenti che solo un viaggio in bici riesce a farti vivere: soddisfazione mista a fatica, felicità di aver avuto il tempo di non pensare ma anche di farlo in un modo diverso grazie ai compagni di viaggio.
In un baleno siamo a Modena, l’arrivo da Bensone è una festa, tra chi è arrivato prima di noi e chi è venuto a salutare e ad abbuffarsi. Lo percepisci davvero il calore delle persone, felici e vogliose di festeggiare quattro pedalatori della domenica, che però nel loro piccolo un viaggio lo hanno portato a termine, fisico e mentale.
Cosa dire quindi?
Personalmente ho scoperto posti nuovi, meno blasonati di altri ma senza nulla da invidiargli, il dislivello e le montagne ci sono anche qua, per non parlare dei paesaggi:
se sono riusciti a stupire me con una visibilità spesso di poche decine di metri, figuratevi con delle belle giornate: sarete immersi in un ambiente che fonde le strade del Centro Italia ai paesaggi più tipici delle basse valli alpine.
Le strade? Tante curve, ma di quelle belle, sia in salita che in discesa, con quei serpentoni che al passaggio prendono vita, quasi ad animarsi con la tua energia e la voglia di mettere in piega la bici.
Traffico? praticamente inesistente, possono passare decine di minuti senza incrociare un’automobile anche sulle statali e le zone più trafficate sono state sapientemente aggirate con le diverse ciclabili.
Un viaggio che va assaporato, una vera scoperta di un territorio. E credetemi, fatelo in compagnia, il tempo scorre diversamente. Più occhi e teste si perdono tra pensieri e parole, più sarà profondo il viaggio.
PanSec si sviluppa su 400 chilometri e 7.000 metri di dislivello positivo totali, per metà è asfalto e il resto si divide equamente tra strade bianche e sterrati un po’ meno compatti, con qualche chilometro di sentieri in prossimità del Cimone; in poche parole è il percorso perfetto per biciclette gravel, gli pneumatici sopra i 40 mm potete lasciarli a casa.
In quattro giorni è alla portata di molti, il dislivello è ben suddiviso ma volendo si può evitarne un po’ rivedendo la traccia.
Il sito dell’evento è fatto benissimo, troverete info su dove alloggiare e su come arrivare.
Ah, tenete un po’ di spazio nelle borse per il pacco gara, avrete da mangiare (bene) per tutti i giorni di recupero dopo l’evento!
L’edizione 1 di PanSec si svolgerà dal 29 maggio al 1° giugno 2025.
Le iscrizioni sono aperte!
TESTO DI JACOPO CHIANALE
FOTOGRAFIE DI GIOVANNI DANIELI
Abbiamo pedalato l’edizione zero di PanSec con un clima che definire tremendo è un eufemismo. Ma i posti sono così belli che abbiamo deciso di tornare e fotografarli col sole.
E sì, ne è valsa la pena.